Pochi minuti. Questo è il tempo che l’IDF concede ai civili per abbandonare la proprie case prima di bombardare. Pochi minuti in cui una persona deve scegliere cosa porterà con sé, quelle che potrebbero essere le uniche cose che possederà da quel momento in poi. E immaginate se doveste lasciare la casa senza che attorno a voi vi sia alcun luogo sicuro, se doveste fuggire da un bombardamento, ma rimanere dentro un luogo circondato da un muro… Voi cosa fareste? Fermatevi un attimo. Guardatevi intorno. Riuscireste a mantenere il sangue freddo? Riuscireste a mantenere la lucidità? Immaginate se in casa con voi ci fosse una persona anziana, un neonato o una persona disabile. Riuscite anche solo a pensarlo?
Parlando con gli amici di Gaza la frase ricorrente è “qui nessun posto è sicuro… siamo tutti dei possibili obiettivi”. È questa la cosa che fa più rabbia, non poter decidere del proprio futuro. Dover sperare che il tuo vicino non sia un militante della resistenza palestinese ricercato da Israele… sperare che mentre si va alla moschea non si capiti vicino alla persona “sbagliata”.
Secondo le statistiche delle Nazioni Unite delle 172 persone uccise dagli attacchi israeliani oltre il 70% è rappresentato da civili, molti dei quali donne e bambini. “Danni collaterali” che stridono con la rappresentazione giornalistica del “conflitto”. Fiumi di inchiostro vengono versati per raccontarci del dramma della popolazione israeliana vittima del lancio di razzi, che ad oggi non hanno causato nessuna vittima. Mentre le morti palestinesi continuano ad esserci comunicate in un modo freddo, asettico. Numeri che si moltiplicano ma che non hanno un volto, storie da raccontare o sogni da realizzare. È la classica rappresentazione del colonizzato da parte del colonizzatore: de-umanizzarne le vite in modo che la morte non sia percepita come un fatto inaccettabile, ma come un effetto indesiderato di una guerra giusta.
È per questo che sui social media iniziano ad essere condivise notizie sulla vita e sui sogni delle vittime innocenti di questa guerra. Come la storia di Kifah Gnam rimasta uccisa in un bombardamento pochi giorni fa, così come ce la descrive una sua amica:
“Kifah è una ragazza palestinese sorda che cercava di superare la sua disabilità attraverso l’aiuto di un programma di riabilitazione in uno dei centri per persone disabili a Rafah. Kifah è morta senza avere mai udito la voce di sua madre, senza avere avuto la possibilità di ascoltare una canzone, nemmeno il rumore di una vettura o il cinguettio di un uccello… e di sicuro non ha sentito il rumore dell'esplosione che l’ha uccisa..”
Viviamo queste ore nell’apprensione di un eventuale attacco via terra, che rappresenterebbe una vera e propria carneficina.
E come sempre a pagare le conseguenze maggiori sarebbero i soggetti più vulnerabili (minori, anziani, disabili e donne), segnati per sempre da una violenza incessante. Vittime inermi condannate a nascere, vivere e, spesso, anche morire sotto assedio.
Israele continua a giustificare i continui attacchi alla popolazione palestinese ripetendo il mantra della “sicurezza” e del diritto a difendersi. Si innesca un circolo vizioso che, definendo le attività repressive israeliane come risposte ad attacchi, in realtà porta a perdere di vista la scintilla che ha fatto scattare l’ennesima fragile tregua. Ciò radicalizza rapidamente il confronto allontanando tutte le opzioni diplomatiche, l’avversario viene messo all’angolo ed aumenta il suo isolamento, inasprendo ulteriormente la pericolosa logica dell’occhio per occhio, dente per dente.
Come operatori di un’organizzazione non governativa impegnata in programmi di solidarietà internazionale in campo educativo siamo preoccupati per ciò che sta succedendo in queste drammatiche ore. Chiediamo l’immediata cessazione di ogni azione contro la popolazione, condannando sia le azioni militari israeliane sia il lancio di razzi palestinesi su Israele. Domandiamo alla comunità internazionale di adoperarsi attivamente per porre fine all’Occupazione dei territori palestinesi e l’assedio della Striscia di Gaza così come previsto dalle risoluzioni dell’ONU. Invitiamo il governo Italiano ad interrompere le relazioni di carattere militare con lo Stato d’Israele, nel rispetto dell’Articolo11 della nostra Costituzione, e a condannare incondizionatamente l’Operazione “ProtectiveEdge”. Preghiamo inoltre la società civile italiana di rompere il silenzio e dimostrare tutta la propria solidarietà alla popolazione di Gaza. Facciamo in modo che non si sentano soli.
I cooperanti di EducAid in Palestina
Consigliamo la visione di questo servizio di Lucia Goracci andato in onda su Rai News 24